La tutela dei figli minori nella convivenza

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La tutela della filiazione occupa una parte consistente del nostro Codice civile.

Da sempre controversa è stata la posizione dei figli nati “al di fuori” del matrimonio: diamo quindi uno sguardo alla disciplina codicistica e alle possibili tutele per tali soggetti.

L’art. 315 bis Cod. civ. pone a carico dei genitori vari obblighi in favore dei figli, siano o meno nati da genitori coniugati:

il dovere di mantenimento, istruzione, educazione e assistenza morale, il tutto nel rispetto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del figlio medesimo.

Quest’ultimo ha altresì diritto a crescere in famiglia e a mantenere rapporti significativi con i propri ascendenti e parenti.

Inoltre, ha diritto ad essere ascoltato in relazione alle questioni e alle procedure a lui/lei relative – ammesso che abbia compiuto dodici anni o abbia anche un’età inferiore ma sia ritenuto capace di discernimento.

In particolare l’obbligo di mantenimento consiste nel dovere di ciascun genitore di prestare i mezzi necessari per soddisfare i bisogni fondamentali del minore (vitto, alloggio etc.) nonché ogni ulteriore spesa necessaria per la sua vita di relazione, in conformità con il tenore di vita e la collocazione sociale della famiglia. Non consiste tuttavia in una mera elargizione di denaro.

I genitori devono provvedere ai loro obblighi in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la capacità di lavoro professionale e casalingo.

 

Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti per adempiere, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

Se uno dei genitori non adempie ai suoi doveri, l’art. 316 bis comma 2 Cod.civ. prevede la possibilità di chiedere al Presidente del Tribunale di ordinare che una quota dei redditi del genitore inadempiente sia destinata direttamente all’altro (o a chi in quel momento stia provvedendo a mantenerli, istruirli ed educarli).

Tale strumento costituisce una tutela per i figli minori, anche in costanza di convivenza della coppia.

In proposito la giurisprudenza chiarisce che «Se uno dei due genitori non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli» (v. Cass. civ. n. 20509/2010).

 

Ancora, la violazione dei doveri genitoriali può determinare, in presenza di determinati presupposti, l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e ss. Cod.civ. [1].

Nell’ultimo decennio inoltre la giurisprudenza è stata propensa ad accordare il risarcimento del danno subito dalla prole a cagione della violazione dei doveri genitoriali (non soltanto quello strettamente afferente al mantenimento), danno che si configura sia come patrimoniale (pregiudizi arrecati alla sfera patrimoniale del figlio, correlati alla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione) che non patrimoniale (quando il figlio abbia subito un danno ingiusto, risarcibile secondo le regole generali della responsabilità civile, a causa della violazione dei doveri genitoriali, v. Cass. 7713/2000).

 

Se invece la coppia genitoriale che non abbia un legame matrimoniale viene a separarsi, la convivenza potrà cessare in virtù di una semplice decisione anche unilaterale dei conviventi, non essendo necessaria una pronuncia del Giudice e non sorgendo in capo ai conviventi alcuna pretesa di carattere risarcitorio o di mantenimento derivante dalla rottura della convivenza.

Quindi nessuno dei due ex conviventi more uxorio potrà domandare all’altro un assegno di mantenimento per se medesimo, a meno che non vi sia stata una espressa pattuizione in tal senso nell’ambito di un contratto di convivenza.

Per quanto riguarda invece la prole, alla conclusione del rapporto affettivo con conseguente interruzione della convivenza, quest’ultima avrà il diritto a mantenere – in via tendenziale – il medesimo tenore di vita goduto in costanza di convivenza tra i genitori.

Invero i genitori dovranno ricorrere al Giudice ordinario per la decisione circa l’affidamento e il mantenimento degli stessi [2].

Ai fini della determinazione delle risorse economiche dei genitori il Giudice dovrà tener conto dell’intero patrimonio, costituito oltre che dai redditi da lavoro dipendente e/o autonomo, anche da ogni altra forma di reddito, valore di immobili o mobili posseduti etc.

Come nel caso delle coppie legate da matrimonio, il Tribunale potrà assegnare al genitore collocatario la casa coniugale come porre a carico del genitore non collocatario una somma da versare all’altro a titolo di mantenimento del figlio minore.

 

Ad ogni buon conto preme ricordare che, se un soggetto versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, rimane comunque ferma la possibilità di richiedere l’assistenza alimentare ad alcune specifiche categorie di soggetti [3].

L’elencazione contenuta nella norma in commento è tassativa e progressiva, nel senso che il primo soggetto in grado di adempiere esclude gli altri.

Si noti che tra tali soggetti non figura il convivente: per questo motivo il comma 65 della Legge n. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà) riconosce appunto al convivente, il quale al momento della cessazione del rapporto versi in stato di bisogno e sia impossibilitato a provvedere al proprio mantenimento, il diritto di ottenere dall’altro gli alimenti con precedenza sui fratelli e sulle sorelle.

L’erogazione delle prestazioni alimentari ai sensi della summenzionata norma, a differenza di quanto previsto all’art. 433 Cod.civ., è limitata nel tempo ad un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

Questa previsione non estende al convivente il contenuto dell’art. 433 Cod.civ., che altrimenti spetterebbe anche in costanza di rapporto, mentre è testualmente limitato all’ipotesi della cessazione della convivenza.


[1] Art. 330 Codice Civile – Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli

Articolo 333 Codice Civile – Condotta del genitore pregiudizievole ai figli

Articolo 334 Codice Civile – Rimozione dall’amministrazione

[2] Articolo 337 ter Codice Civile – Provvedimenti riguardo ai figli

Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all’articolo 337 bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.

La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

    1) le attuali esigenze del figlio.

    2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.

    3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.

    4) le risorse economiche di entrambi i genitori.

    5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

[3] Art. 433 Codice civile – Persone obbligate

All’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:

1) il coniuge;

2) i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi;

3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;

4) i generi e le nuore;

5) il suocero e la suocera;

6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.